Argomento settimanale
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5/8/20242 min read


L’Egoismo nell’Uomo: Un Paradosso Sociale
L'interazione sociale è da sempre una priorità per l'essere umano, fondamentale per la nostra evoluzione e per lo sviluppo della capacità di sopravvivenza. Si pensa che gli uomini abbiano iniziato a formare gruppi fin dai tempi preistorici, quando cacciavano e raccoglievano cibo insieme. Questi gruppi inizialmente erano costituiti da famiglie o da piccoli clan. Con il tempo, le società sono diventate più complesse, dando vita a tribù e comunità.
Tuttavia, il concetto di egoismo continua a essere presente nel nostro comportamento. Com'è possibile che, dopo millenni di evoluzione sociale, non abbiamo ancora imparato a "vivere correttamente" in società?
Ciò che ci contraddistingue
È possibile affermare che, malgrado il tempo trascorso in società e i nostri sforzi per costruirne una, dentro ciascuno di noi permanga una caratteristica che ci spinge a pensare prima di tutto a noi stessi. Quello che oggi viene chiamato "egoismo" può essere descritto come un istinto di sopravvivenza. Da quando abbiamo dato vita a società complesse, con persone che hanno idee diverse, abbiamo sentito la necessità di reprimere questo istinto e di etichettarlo come qualcosa di negativo.
È incontestabile che un gruppo sia più forte di un individuo e che, affinché ci sia un gruppo forte, esso debba muoversi circa nella stessa direzione. Se ogni membro inizia a lavorare solo per i propri interessi, il rischio è di compromettere l’intero gruppo.
E se fosse legittimo avere un pensiero egoistico...
Ma quanto dobbiamo sentirci in difetto se, in alcune fasi della nostra vita, pensiamo esclusivamente a noi stessi? La risposta è chiara: "non così tanto". Questo è un discorso soggettivo, che varia da persona a persona, in base all’ambiente in cui si è cresciuti e alle esperienze di vita. Tuttavia, è naturale che ciascuno di noi continui a pensare a sé stesso. Dopotutto, la nostra paura è di far star male chi ci sta attorno ma, biologicamente, siamo predisposti a pensare prima di tutto a noi stessi. Il motivo per cui abbiamo iniziato a pensare agli altri è perché tanto tempo fa capimmo di poter ottenere cose più grandi con l'aiuto di più persone, quindi decidemmo di dare qualcosa per ricevere qualcos'altro in cambio. Poi si svilupparono una serie di norme morali per cui imparammo che fare dei gesti di "cortesia" nei confronti di altre persone, per lo meno le più vicine a noi, ci avrebbe semplificato la convivenza. Infine, abbiamo smesso di tollerare i pensieri egoisti che, di tanto in tanto, ancora gravitano intorno a noi.
Anche dal punto di vista psicologico, nelle dinamiche più quotidiane, gesti altruistici come l'atto di empatizzare con qualcun altro, possono essere interpretati come tentativi del nostro cervello di immagazzinare il maggior numero di informazioni ed esperienze. Secondo David Eagleman, nel suo libro "Il tuo cervello, la tua storia", anche comportamenti come chiedere a qualcuno cos'è che l'ha fatto stare male e cercare di empatizzare il suo dolore, possono essere motivati dal desiderio di prepararsi per future situazioni simili.
Un Doppio Movimento
Con questo voglio dire che, di tanto in tanto, non dobbiamo vergognarci di pensare a noi stessi. È stato proprio grazie a questo impulso che abbiamo anche sviluppato la capacità di prenderci cura degli altri nel corso della nostra evoluzione. La chiave sta nel riconoscere che l'egoismo e l'altruismo possono coesistere e che, in effetti, uno può alimentare l'altro.
Per concludere, la sfida è trovare un equilibrio tra il nostro bisogno di soddisfare i nostri desideri e la necessità di contribuire al benessere collettivo. Solo comprendendo questa dualità possiamo costruire relazioni più forti e società più coese, in cui il bene individuale e quello comune possano prosperare insieme.